26 Novembre

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Stamattina ero nervoso. Ho dormito malissimo. Stavo bevendo il caffè quando è arrivata la zia. «Vieni», ha detto. Ho lasciato mezzo caffè nella tazza e l’ho seguita. Ha preso la strada principale, nella direzione della montagna. Quella strada porta solo alla Villa Neri. Non capivo cosa avesse intenzione di fare. Poi ho visto la luce accesa in una stanza, e ho capito.

Avevo intuito bene. L’hanno chiuso lì dentro, in attesa che rinsavisca. Mentre attraversavamo l’atrio e i saloni, la zia mi ha spiegato che abita lì da solo. Un garzone, ogni mattina, gli porta pane e latte freschi sotto la porta dell’atrio. Una volta in settimana altri alimenti, come uova, prosciutto, verdure. Non si fida ad entrare. Nessuno, a parte la zia, vuole più avvicinarsi a lui. Sembra quasi temano il contagio, e lo tengano in quarantena per evitare il diffondersi della sua malattia. Come se avesse la peste.

Finalmente l’ho incontrato. E se mi ero fatto un’idea del suo stato, ho dovuto ricredermi: non avrei mai pensato fosse in condizioni simili. Non mi ha riconosciuto. La zia gli ha spiegato chi sono, ma continuava a non capire. «No, questa non è una delle mie creature», diceva. «Questa è senza dubbio opera del demonio!»

Ora capisco perfettamente cosa intendevano per pazzo. Capisco che non scherzavano, che non avevano esagerato. Capisco perché nessuno gli si vuole più avvicinare. Luca si crede Dio. È profondamente convinto che tutto ciò che lo circonda sia opera sua. Eccetto me.

Non capisco perché mi definisca "opera del demonio". Eravamo come fratelli, una volta, e ora mi ha volontariamente allontanato dal suo mondo, da quel regno che la pazzia ha creato nella sua testa. Perché? Devo riuscire a capire.