Capitolo Quarto

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Il bosco respirava lentamente. A volte lo faceva con più foga, e allora era meglio allontanarsi, ché si rischiava di trovarsi con un ramo in testa, e non era certo una sensazione piacevole.

Poi, in alcuni momenti, il bosco e tutto al suo interno trattenevano il fiato. Durava pochi istanti, ma se lo vedevi ti sembrava fosse eterno: e quando finiva ti trovavi in un’altra stagione.

I fiumi scorrevano liberi, un tempo, e solo a un certo punto avevano cominciato a separarsi ed a seguire dei percorsi precisi: ma erano quelli che più gli piacevano, e per questo li cambiavano di rado, tornando quasi subito nel loro letto originario.

 

Erano molte le cose che Kinrul aveva appreso in quei pochi giorni passati in compagnia di Delnurag, e ora gli sembrava che non ci fosse fine alle meraviglie che esistevano da sempre, quelle che gli uomini non avevano costruito e che non sarebbero mai riusciti a distruggere.

Si era reso conto di amare la natura ancora più di quanto non facesse quando era a casa, e se ne stupiva.

Tentava di tenere il passo di Delnurag, ma non era facile: il Signore dei Boschi sapeva bene come muoversi in mezzo alle piante, e saltellava rapidissimo da un punto all’altro, facendo la metà della strada che Kinrul era costretto a percorrere per seguirlo.

Dopo qualche ora era stravolto, mentre la sua guida continuava a saltare allegramente davanti a lui. Quando si fermava, però, anche Delnurag si sedeva, e insieme parlavano di piante ed animali.

Non c’era una sola domanda alla quale non sapesse dare risposta: e Kinrul lo ascoltava assorto narrare della Caduta dell’Impero o delle vicende dell’Era delle Guerre.

Per molto tempo non ebbe il coraggio di affrontare l’argomento che lo assillava dal momento in cui erano partiti: qual’era questa missione tanto importante da far scomodare persino il Signore dei Boschi? Doveva trattarsi di una minaccia molto grave, che certo non aveva nulla a che fare con la sua convocazione alla Truppa.

E poi: che ruolo aveva lui nella vicenda? In quei giorni si era limitato a seguire Delnurag attraverso boschi sconfinati e a chiaccherare con lui; non gli era parso che la sua presenza fosse così fondamentale.

Ma, ogni volta che provava ad accennare questi dubbi con il suo compagno, questi gli rispondeva che avrebbe capito, prima o poi. A Kinrul non dispiaceva affatto quel viaggio, anche se spesso arrancava dietro al vecchietto per la fatica, e di certo gli piaceva più di quello che avrebbe dovuto affrontare se non avesse disertato.

 

Una sera, dopo che avevano già scelto il luogo dove accamparsi e preparato due giacigli di paglia, Delnurag raccontò al ragazzo vicende molto più vicine alla loro epoca.

Mentre le sere precedenti Kinrul – che conosceva alla perfezione quasi ogni evento dell’epoca precedente la Perdita della Magia – si era limitato ad ascoltare i particolari a lui ignoti, durante quel racconto fu totalmente assorbito dalla narrazione del vecchio.

Quando poi ebbe terminato di raccontare, il ragazzo gli chiese in che periodo si fosse svolto ciò che aveva narrato. La risposta lo lasciò sbalordito: quinto millennio dell’Era Pacifica, cioè circa un secolo dopo la Perdita della Magia! Ecco perché non aveva mai sentito quella storia: le cronache si fermavano all’anno 3125 dell’Era Pacifica!

«Ma tu come fai a conoscere questa storia?», chiese allora Kinrul a Delnurag, spiegando poi che secondo le sue conoscenze la Perdita della Magia era avvenuta circa un secolo prima.

«Perdita della Magia? Ah, questa sì che è bella! La chiamano in questo modo nei libri che hai letto? Forse sarebbe più appropriato, come termine, Rinuncia alla Magia! Anzi, d’ora in poi, quando me ne parli, chiamala in questo modo, così capirò subito a cosa ti stai riferendo. Perdita della Magia… Cose da pazzi!»

Kinrul cominciò a tempestare di domande il povero Delnurag, e questi fu costretto a rinunciare a qualche ora di sonno per spiegare al ragazzo cosa intendeva per Rinuncia alla Magia.

 

«Devi sapere», cominciò, «che un tempo il mondo non era come lo vedi ora. Non mi riferisco solo all’aspetto geografico, che anzi non è cambiato di molto, ma in particolar modo agli abitanti di quelle che tu chiami Terre Felici.

«Non vi sono dubbi che i luoghi dove hai abitato si possano definire così, ma c’è stato un momento in cui questo nome era totalmente azzeccato: questo periodo si può piazzare tra l’inizio dell’Era Pacifica e la Rinuncia alla Magia.

«A quei tempi gli uomini erano una razza relativamente giovane, volevano a tutti i costi una terra che fosse loro in Ethundel, ed erano troppo occupati a combattere chi li aveva preceduti per preoccuparsi delle tensioni interne.

«Esistevano ancora quelli che vengono chiamati maghi, e gli uomini se ne servivano per imporre il loro predominio sulle razze più deboli: tuttavia erano inutili di fronte agli Elfi, il popolo più antico di Ethundel, nonché quello che aveva raggiunto la maggior padronanza della magia.

«Gli Elfi erano in grado di eseguire in un istante quasi ogni tipo di incantesimo, e se non lo facevano era solo perché quella magia richiedeva più di un secondo per essere evocata.

«Sapevano – e sanno ancora – chiamare in loro aiuto creature appartenenti a livelli sensoriali diversi dal nostro, e al contrario degli uomini non li usavano come armi. Le uniche volte che parevano avere questo intento si limitavano ad intimorire l’avversario.

«Sono sempre stati un popolo pacifico, e se hanno combattuto è stato solo per difendersi da chi li minacciava.

«Come ben sai, all’inizio dell’Era Pacifica io stesso mi sono dato da fare per evitare lo scontro aperto fra voi uomini e gli Elfi: sapevo che la guerra non sarebbe finita finché una delle popolazioni non si fosse estinta.

«Da quel momento gli uomini misero da parte le loro ambizioni, e cominciarono a vivere una vita più tranquilla: i guerrieri si trasformarono in contadini, i comandanti delle legioni in governanti.

«Anche i maghi, che durante le guerre occupavano le prime file, trovarono un posto nella nuova società dell’uomo: gli incantesimi di attacco fecero posto a quelli curativi, e ben presto in ogni villaggio c’era un abile mago pronto a guarire ogni tipo di malattia.

«La loro importanza crebbe quando la gente si rese conto di non poter fare a meno di loro, e cominciò a venerarli come dei.

«A questo punto alcune persone, alle quali il Male aveva sporcato il cuore, cominciarono ad invidiare il potere che questi maghi avevano raggiunto, e cercarono un modo per eliminarli.

«Ma i maghi, nel frattempo, si erano fatti scaltri, e avevano escogitato vari incantesimi che li proteggessero proprio in casi simili.

«Il primo attacco che gli uomini portarono ai maghi si rivelò una strage, nella quale morirono molte centinaia di uomini malvagi: gli esecutori, ovviamente, perché come accade sempre i capi non si fanno vedere sul campo di battaglia.

«Così i più malvagi fra loro si riunirono, e decisero che l’unico modo che avevano per eliminare i maghi era quello di privarli della loro fonte di potere: la natura.

«Colpirono con rapidità e ferocia: dopo poco tempo, in tutta la parte di Ethundel che ora viene chiamata delle Terre Abbandonate non c’era più una sola foglia d’erba. L’incendio continuò a bruciare per giorni e giorni, e per ogni filo d’erba che prendeva fuoco i maghi si indebolivano.

«Erano ormai quasi privi di potere quando si riunirono insieme sulla sponda meridionale del Galadrun, e con un potente incantesimo impedirono che anche quella parte di Ethundel bruciasse: ancora oggi questo incantesimo protegge le Terre Felici, anche se ultimamente il suo potere si sta indebolendo.

«E se la causa di questo indebolimento è quella che sospetto, allora non possiamo aspettarci che guai.»

 

Kinrul era allibito. Ecco qual’era la causa della Perdita della Magia! Ma quale perdita, poi: se l’erano cercata, erano stati loro a volerla! Era davvero giusto chiamarla Rinuncia alla Magia: era stato l’odio degli uomini a renderli tanto ciechi, erano stati loro a rinunciare alla magia.

Il loro egoismo, la loro sete di potere: improvvisamente Kinrul si disprezzò per il semplice fatto di appartenere ad una razza tanto meschina e crudele.

«Ma allora la magia non è andata perduta! Nelle Terre Felici ci sono ancora molte piante, in fondo», osservò poi il ragazzo.

«Non basta che ci siano le piante: bisogna che vengano amate, e anche nelle tue terre la gente sta cominciando a perdere il rispetto che aveva un tempo. Se le cose non cambieranno, entro pochi secoli sarò il Signore di Niente!», disse tristemente Delnurag.

Ma si vedeva che la sua tristezza non era dovuta alla prospettiva di perdere la sua carica, ma all’idea di un mondo senza più piante. Kinrul rabbrividì: come si poteva anche solo pensare ad un mondo privo di verde?

Non era assolutamente concepibile, in particolar modo per un abitante delle Terre Felici come lui. «E quanto c’entra tutto questo con la tua missione, e con me?»

«Non posso rivelarti lo scopo del mio viaggio, non ancora. Sappi solo che – se i miei dubbi sono fondati, anche se continuo a sperare il contrario – il Male si è risvegliato in un oggetto che credevamo distrutto: stiamo rischiando tutti», rispose Delnurag.

«Credevate? Tu, e chi altro?» «Sei un po’ troppo curioso, ragazzo», disse Delnurag ridendo. «Comunque non ti preoccupare: saprai tutto a tempo debito.»

«Ci sono troppe cose che non so, riguardo a questo viaggio», pensò Kinrul. «Non so nemmeno perché l’abbia seguito!»

 

Nonostante i suoi dubbi, Kinrul proseguì il suo viaggio in compagnia del Signore dei Boschi. Non sapeva dove fossero diretti, non sapeva che strada stavano percorrendo per arrivarci e soprattutto non sapeva cosa avrebbero fatto una volta lì: ma la compagnia di Delnurag era piacevole, e riusciva a compensare la fatica del camminare.

In realtà il loro ritmo non era troppo elevato, anche perché il ragazzo non sarebbe stato in grado di sostenerne uno maggiore. Delnurag lo sapeva, e si regolava di conseguenza.

Spesso, pur rimanendo all’interno del bosco, si trovavano a costeggiare una strada a pochi piedi di distanza, e riuscivano a vedere le carovane passare e ad ascoltare i discorsi dei viaggiatori.

Dai frammenti che catturavano avevano appreso le attuali condizioni del Nord: quasi tutte le città erano state rase al suolo, e le poche che resistevano non sarebbero durate più di una settimana.

Delnurag ascoltava attentamente, scuoteva la testa e mormorava frasi sconsolate in una lingua sconosciuta a Kinrul.

Poi si voltava, e accelerava il passo: non si accampavano mai vicini ad una strada, forse per paura di essere scoperti, o forse per altri motivi; Kinrul non ne aveva idea, e si limitava a seguire gli ordini del Signore dei Boschi.

 

Mano a mano che avanzavano verso il Nord, le strade si facevano sempre meno affollate. I mercanti non avevano motivi di spingersi fino là, e non era il momento adatto per fare una gita di piacere.

Di pari passo con l’avvicinarsi del Nord, Delnurag si faceva sempre più cauto: osservava bene intorno prima di entrare in una radura, controllava più volte la profondità di un fiume prima di guadarlo, anche nel caso si trattasse di un ruscello che avrebbero potuto attraversare con un balzo.

Sembrava che cercasse tracce del passaggio di qualcuno, e allo stesso tempo avesse paura di trovarle. Kinrul non capiva cosa potesse mai temere, almeno fino a che non ebbe visto il primo orchetto.

Stava andando dall’accampamento verso un fiume, poco distante, a rifornirsi d’acqua, quando sentì un rumore di metallo cigolante.

Si nascose subito in un cespuglio, e da lì vide passare l’essere malvagio: era nero, come tutti i suoi simili, ma indossava una robusta armatura di acciaio opaco e un largo mantello grigio. Sembrava una specie di comandante, o qualcosa di simile.

Subito Kinrul scelse una stradina secondaria e si diresse rapido all’accampamento. Dopo aver spiegato – molto confusamente – la situazione a Delnurag, spensero il fuoco e ripartirono rapidi nella direzione del giorno precedente. Era sfinito per via della lunga corsa, quando si fermarono in una radura.

«Non possiamo fermarci per molto: gli orchetti si spostano raramente da soli, e probabilmente quello che hai visto faceva da apripista.

«A giudicare da come me l’hai descritto pare che si trattasse di un graduato. Tanto meglio: se mandano un solo orchetto, e per di più di rango elevato, a perlustrare la zona prima di arrivare con il resto della truppa, vuol dire che non sanno della nostra presenza, e questo ci mette in una condizione di vantaggio.

«Potremmo tendergli un’imboscata qui nella radura, dato che abbiamo un notevole vantaggio e sappiamo che avevano questa direzione. Ma siamo solo in due, e tu non hai nessuna arma con te: ci metterebbero poco ad eliminarci.

«Ci conviene proseguire, e cercare di aumentare il nostro vantaggio finché possiamo. Ci fermeremo quando sarà sorto il sole: gli orchetti si nascondono durante il giorno, e potremo dormire tranquilli.»

Kinrul annuì, pur sapendo che questo significava continuare a correre nel buio della foresta per almeno altre cinque ore, correndo il rischio costante di inciampare in un sasso o in una radice sporgente.

Ma non aveva idee migliori, e in ogni caso giudicava – a ragione – che Delnurag avesse più esperienza di lui in fatto di orchetti. Così, caricatosi la sacca sulle spalle, si avviò con passo deciso per il sentiero, cercando di non perdere di vista il suo compagno.

 

Stavano camminando da molte ore – troppe, secondo i piedi di Kinrul – quando incominciò a sorgere il sole. I suoi pigri raggi riuscivano appena a penetrare il tetto d’alberi sotto il quale camminavano, che in quella zona era decisamente folto.

Non era certo bello come vedere l’alba seduti su di una collina, come Kinrul aveva fatto alcune volte: tuttavia per i suoi piedi indolenziti e per i suoi occhi affaticati si presentava come lo spettacolo più affascinante di questo mondo.

E quando Delnurag decise che era ora di fermarsi, sentì un tonfo alle sue spalle: era la pesante sacca del ragazzo che veniva lasciata cadere al suolo. Non fece in tempo a riprenderlo, ché appena si fu girato lo vide disteso sotto un albero a godersi il suo sonno.

Era certo meno resistente di quanto avesse pensato, e in alcuni casi camminava davvero con pochissima lena: era stato forse un errore prenderlo con sé?

Il Signore dei Boschi non era in grado di rispondere a questa domanda. Certo, in alcuni momenti la presenza di quel ragazzo rallentava in maniera notevole il suo cammino, e fino ad allora avevano accumulato quasi una giornata di ritardo rispetto alle scadenze stabilite; d’altra parte il ragazzo era umano, e non poteva pensare che riuscisse a mantenere la sua stessa andatura, specie se si parlava di muoversi nei boschi.

E c’era qualcos’altro, qualcosa che non riusciva a decifrare… Sentiva, in cuor suo, che Kinrul avrebbe avuto un ruolo fondamentale nella missione che li attendeva, anche se vedendolo steso sotto l’albero non poteva considerarlo che una palla al piede.

In ogni caso era troppo tardi per i ripensamenti: sebbene fosse molto sveglio e imparasse molto in fretta – l’aveva notato anche dal suo comportamento di quella mattina: era stato abbastanza furbo da nascondersi quando aveva udito rumori sospetti – non era ancora pronto per cavarsela da solo.

Tanto più che stavano per entrare nel Nord, la zona assediata, dove lui stesso avrebbe dovuto prestare molta attenzione a come si muoveva: non sapeva che tipo di nemici aspettarsi, e quindi non poteva ideare nessuna strategia.

Quindi avrebbero dovuto cercare di avvicinarsi furtivamente a una delle città occupate, e vedere se gli assalitori fossero – come temeva – l’avanguardia dell’Esercito del Male.

In quel caso avrebbero dovuto proseguire con la loro missione, per la strada che portava verso Nord, oltre il Galadrun, nelle Terre Abbandonate.

 

Dopo un buon riposo, Kinrul si svegliò. Almeno, gli sembrava di aver riposato a lungo, ma non appena ebbe guardato verso il cielo si rese conto che non erano passate più di cinque ore, decisamente poche dopo la camminata della notte precedente!

Si sentì nuovamente assonnato, e stava per rimettersi a dormire quando sentì un sibilo accanto al suo orecchio: si scansò rapidamente, e riuscì ad evitare di essere colpito dalla freccia diretta alla sua fronte. Vide un luccichio in mezzo alla boscaglia, di fronte a lui, e non ebbe nemmeno bisogno di pensare per capire che si trattava di orchetti.

Li avevano trovati, e la notte di fuga non era servita che ad aumentare di poco il loro vantaggio: ora li avevano in pugno, e se dovevano morire – come era ovvio che fosse – sarebbe stato meglio farlo la sera precedente, per evitare almeno quella fuga sfiancante.

No, non poteva arrendersi in quel modo: dovevano combattere, e restare in piedi fino a quando il nemico non avesse iniziato a maledire chi li aveva concepiti. Dovevano faticare, dovevano soffrire a lungo prima di riuscire a prenderli.

Una gioia nera salì nelle sue vene, come una forza violenta che gli avrebbe permesso di umiliare il nemico, prima di cedere sotto i suoi colpi. Si voltò per cercare gli occhi di Delnurag, per fargli capire con uno sguardo che avrebbero combattuto fianco a fianco fino alla fine delle loro forze: solo allora si rese conto di essere solo nella radura.

La dolce furia di un attimo prima aveva rapidamente fatto posto a un terrore che non poteva dissimulare: non aveva con sé nemmeno un’arma! Era spacciato!

 

Gli orchetti non avanzavano. Sembravano parecchi, nascosti dietro i cespugli, ma Kinrul non poteva rendersi conto del loro esatto numero. In ogni caso sarebbero stati troppi anche per una decina di uomini ben armati ed organizzati, mentre lui era solo e non possedeva nemmeno un pugnale.

Stava pensando di non reagire, ché il coraggio di prima era ormai solo un ricordo, quando sentì un’altra freccia che gli passava accanto. Chiuse gli occhi, pensando che fosse l’ultima volta in cui lo faceva, ma dopo qualche istante non aveva ancora sentito nulla.

Allora, con cautela, riaprì gli occhi, giusto in tempo per vedere la freccia che lo superava e andava a conficcarsi nel petto di un orchetto. Si girò di scatto e vide Delnurag alle sue spalle, che si stava già preparando a scoccare una seconda freccia.

Kinrul gli si avvicinò, aspettandosi ordini su come condurre la battaglia. «Vai dietro quell’albero, e non ti muovere finché non arrivo. Se hai bisogno di aiuto chiamami, e in un attimo sarò da te.»

Vedendo la titubanza del ragazzo, Delnurag riprese a parlare con più foga. «Forza! Vuoi morire con una freccia piantata nella fronte? Muoviti!», disse.

Allora Kinrul, anche se un po’ deluso, lasciò solo il suo compagno di viaggio e andò dietro all’albero. Non passò molto tempo prima che se lo trovasse davanti: era sudato e sporco, e aveva una ferita abbastanza profonda nel braccio destro.

Prese un pugno d’erba da terra, dopo aver girato un poco, ci sputò sopra e la strinse per qualche istante nella mano: quando la riaprì, il ragazzo si accorse che era diventata una specie di poltiglia, che il Signore dei Boschi si applicò sulla ferita.

Delnurag apparve subito sollevato, e dopo alcuni istanti si rivolse a Kinrul. «Ormai sanno che siamo qui. Dobbiamo cercare di allontanarci il prima possibile, e sperare che il grosso delle truppe ritardi ad arrivare.»

Kinrul lo guardò allibito. «Il grosso? Vuoi dire che ce ne sono altri?» «Molti altri, probabilmete, e sono tutti sulle nostre tracce. Se non ci muoviamo riusciranno a prenderci prima ancora di potercene rendere conto.»

Delnurag era stato fin troppo chiaro: bisognava andarsene di lì, e farlo rapidamente. Prese la sacca in spalla, e si avviò per il sentiero, dietro al suo compagno.

 

Si erano addentrati profondamente nel Nord, e intorno a loro potevano vedere costantemente i segni della battaglia. La boscaglia era abbastanza rada, cosicché potevano vedere la strada correre per lunghi tratti accanto al loro cammino.

Delnurag era visibilmente nervoso: non gli piaceva esporsi in quel modo, soprattutto in un territorio occupato dal nemico. Tuttavia, nonostante le apprensioni, tutto filava liscio, e non videro un solo essere vivente per giorni.

«Questo posto è deserto!», osservava Kinrul. «Già… fin troppo. Non mi piace tutto questo silenzio. Se senti i passi del tuo nemico puoi prevedere da dove ti attaccherà, ma nel silenzio non puoi evitare un attacco a sorpresa», gli rispondeva il suo saggio compagno.

Kinrul sapeva che avrebbero dovuto controllare quale fosse la natura degli invasori, ma sembrava che a Delnurag non importasse più: continuavano a proseguire verso nord, e si avvicinavano sempre di più alla riva del Galadrun.

Kinrul era molto emozionato all’idea; non aveva mai visto quel fiume, pur avendo sentito molte leggende e racconti al riguardo, e si chiedeva quanta verità ci fosse in ciò che sapeva.

 

La conferma dei sospetti di Delnurag arrivò inaspettata, e in modo non gradito, ossia con una ventina di orchetti che sbarravano la strada attraverso la foresta. Fortunatamente si accorsero dell’accampamento prima di entrarvi, perché non avrebbero certo potuto evitare lo scontro una volta entrati nel loro raggi visivo.

Aggirarono la postazione uscendo sulla strada, anche se Delnurag continuava a lamentarsi di essere stato costretto a scegliere quel percorso. Era evidentemente a disagio sulla terra battuta, priva di radici e fili d’erba: continuava a guardarsi i piedi, poi alzava lo sguardo e scuoteva lentamente la testa.

Kinrul, al contrario, rischiava di andare a sbattere contro un ostacolo ogni istante, dal momento che continuava a guardarsi intorno stupefatto. Non aveva mai visto tante case tutte insieme, e anche se si trattava solo di macerie, si sentiva affascinato da tutto ciò che vedeva.

Riusciva a malapena a camminare, perché avrebbe preferito di gran lunga fermarsi ad ammirare quello spettacolo. Era tristissimo vedere tutte quelle macerie, e pensare che fino a poco tempo prima lì vivevano delle persone; ma allo stesso tempo sentiva uno strano sentimento che cresceva in lui alla vista di quella desolazione.

Come poteva chiamarsi quella sensazione?

 

Aggirarono facilmente l’accampamento degli orchetti e tornarono nel bosco. Kinrul vide il volto di Delnurag distendersi e tornare allegro, e gli sembrò il momento giusto per chedere al Signore dei Boschi quale fosse lo scopo della loro missione, ma non fece in tempo: prima che riuscisse ad elaborare una forma adatta all’esposizione dei suoi pensieri, il suo compagno aveva cominciato a parlare.

«Non è opportuno che tu continui a girare per il mondo senza nemmeno un pugnale: dovremo trovarti un’arma.» «Ma non ne ho bisogno!», replicò il ragazzo, al quale non piaceva affatto l’idea di poter essere attaccato. Ad un ragazzo disarmato non avrebbe fatto caso nessuno, o almeno così gli avevano detto.

Il volto di Delnurag mutò improvvisamente, i suoi lineamenti si tesero. «Stolto! Non ti sei accorto dei nemici che ci inseguono? Non hai ancora capito che siamo entrambi in pericolo? Non ti rendi conto che non siamo gli unici a cercare la Mano Nera?»

Poi si zittì, sapendo di aver parlato troppo, e sperando che il ragazzo non l’avesse notato.

«La Mano Nera? E cosa sarebbe?», chiese il ragazzo, che vedeva l’unica occasione di capirci qualcosa di più sulla sua missione.

Poi gli venne in mente il ciondolo che aveva visto al collo dell’uomo, nella sua città natale. «Io l’ho vista!», disse, con mal celato orgoglio.

«Dove? Ne sei sicuro?», domandò Delnrag, improvvisamente interessato. «Ne sei sicuro?», ripetè.

Il ragazzo si imbarazzò. «In realtà non lo so, ma ho visto un mercante che portava un medaglione a forma di mano, pochi giorni fa, nel mio villaggio. Forse si tratta della stessa.»

«Descrivimela!», ordinò il Signore dei Boschi, ormai al limite della sopportazione. Forse aveva trovato quello che cercava da tempo, e un dannato ragazzino non si decideva a parlare!

«Era, come posso dire, grezza», cominciò Kinrul, e vide gli occhi di Delnurag illuminarsi. «Era fatta di uno strano materiale, non saprei dire che cosa fosse. Sembrava a metà fra una pietra e una pepita, e non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso. Anche gli altri, cioè, tutti quelli che l’hanno vista, la fissavano in modo assente.»

Delnurag annuì solennemente. «Si tratta proprio della Mano Nera! Maledizione, sapevo di essere a un passo dall’ottenerla! Era lì, poco prima che arrivassi!», continuò.

«Ma cosa ha di tanto importante, questa Mano Nera?», chiese Kinrul, incuriosito.

«Siediti, si tratta di una storia un po’ lunga», fu la risposta di Delnurag.

 

«Come tutte le grandi storie, anche questa comincia in tempi remoti: non sappiamo esattamente quando, perché alcune parti della Storia vengono tralasciate anche dagli annali.

«È successo prima dell’inizio dell’Era delle Guerre, e molto probabilmente anche prima della Nascita degli Uomini. A quel tempo, su tutta Ethundel regnava la pace, grazie all’impegno di Elfi e Nani: non vi era una sola creatura, nemmeno la più disgraziata, che non avesse cibo in abbondanza.

«Le varie razze vivevano in armonia, in parte ignorandosi, in parte collaborando tra loro. Ma, come sempre, dalla vetta della montagna si può solo scendere… Il Male stava tramando.

«Non era la prima volta, né è stata l’ultima: ma quella volta nessuno se l’aspettava, e il Male li colse impreparati.

«Devi sapere che il Male non può agire da solo: appartiene ad un altro livello sensoriale, e non può influire nel nostro se non per interposta persona. Da sempre, prima di attaccare il nostro mondo, l’ha studiato accuratamente, alla ricerca del suo Messo; ma il Male va accettato, e quella volta non c’era nessuno disposto ad abbandonare la felicità, nemmeno con la promessa di ricchezze inestimabili e potere illimitato.

«Allora tentò una via nuova, audace e rischiosa, ma che gli avrebbe dato ancora più potere in caso di riuscita. E si insinuò nella Mano Nera.

«Prima di quel momento non era ancora l’oggetto di distruzione che è adesso: era un innocuo ciondolo, che pendeva dal collo del Re dei Nani.

«Il nome di questo re è andato perduto, ma sappiamo che era estremamente potente e forte in battaglia; inoltre, la sua cupidigia – una caratteristica comune nei Nani – era maggiore di quella di qualunque suo suddito.

«Insomma, era il Messo perfetto per annunciare la distruzione di Ethundel.

«Prima parlavi dello strano materiale di cui la Mano Nera è composta: si tratta di mithril, un metallo simile per colore e malleabilità all’argento, ma più simile all’acciaio temprato per quanto riguarda la durezza.

«Ovviamente quella è la sua forma grezza, e necessita di numerose lavorazioni per trasformarsi nel solido metallo con il quale gli Elfi amano forgiare le loro armi: quando viene estratto è simile ad un sasso, una comune pietra nera.

«In quei tempi antichi l’abilità dei Nani nel lavorare i metalli non aveva raggiunto i livelli di perfezione che riesce a toccare oggi, per questo la forma della Mano Nera è appena abbozzata. Ma il potere che vi cova dentro è enorme; il Male stesso l’ha infuso in quel ciondolo, e quello è lo stesso potere che ha assoggettato il Re dei Nani.

«Nonostante fosse la prima volta che il Male usava quel mezzo, l’incantesimo riuscì fin troppo bene: potrebbero confermartelo i Nani di corte, se solo non fossero stati uccisi dal loro stesso Re.

«La follia ed il desiderio del Male erano le uniche cose, ormai, che faceessero muovere gli arti del leggendario Re. Se la sua forza fisica aveva un limite, il potere derivato dalla Mano Nera lo cancellò rapidamente, mutandolo in uno spietato assassino agli ordini delle Tenebre.

«Sembrava che la fine di Ethundel fosse ormai segnata – le roccaforti della resistenza crollavano una dopo l’altra – quando arrivò un mago, il cui nome è stato dimenticato, ma la cui storia rimarrà per sempre.

«Raccolse intorno a sé tutti i sopravvissuti, e grazie alla loro forza magica forgiò l’oggetto che avrebbe salvato Ethundel: la Gemma Bianca.

«Era una pietra straordinaria, dotata di un potere simile a quello della Mano Nera, ma di natura opposta; le forze del Bene avevano dato tutto ciò che avevano per crearla, e rimaneva l’unica speranza per il popolo di Ethundel.

«Il piano del mago era di una semplicità disarmante: bastava fare in modo che la Mano Nera stringesse la Gemma Bianca, e i poteri dei due oggetti si sarebbero contrastati fino a trovare un innocuo equilibrio o a spegnersi definitivamente.

«Il vero problema stava nell’attuare quel piano, perché richiedeva di avvicinare il Re dei Nani a una distanza molto minore della lunghezza della sua ascia.

«Ma il mago non aveva paura della morte, anche perché sapeva che, se non avesse tentato, il suo destino e quello di tutti gli abitanti di Ethundel sarebbe stato comunque segnato.

«Non ti racconterò dello scontro tra il mago e il Re dei Nani, anche perché nessuno lo vide a parte loro; l’importante è che il mago riuscì a conficcare la Gemma Bianca nel malefico artefatto, che perse immediatamente il suo potere.

«Da quel momento si è sempre creduto che i due oggetti si fossero distrutti a vicenda, o che si fossero fusi in uno unico, innocuo.

«Nessuno aveva più visto la Mano Nera, il mago ed il Re dei Nani erano morti in combattimento, c’erano buone motivazioni per credere che la minaccia non si sarebbe più presentata.

«Ma il Male sapeva che il suo oggetto non era distrutto, lo ha cercato a lungo e, alla fine, è riuscito a prenderne nuovamente possesso.

«Ora qualcuno lo ha trovato, e sai anche tu quali effetti abbia sui mortali quell’artefatto. Per questo dobbiamo trovarlo, recuperare la Gemma Bianca e riunirli, questa volta per sempre.»

 

Kinrul era talmente meravigliato dalla storia da non accorgersi che era finita, se non quando Delnurag lo incitò.

«Ora sbrigati», disse il Signore dei Boschi, «perché chi possiede la Mano Nera ha un notevole vantaggio su di noi, e il tempo stringe.»

Kinrul non fece in tempo a valutare quest’ultima affermazione prima di essere tirato in piedi dal compagno e di doversi rimettere in cammino.