c = 30 km/h

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Forse i sogni e le fantasie degli uomini possono realmente, in determinate condizioni, trasformarsi in realtà: e non mi riferisco, badate bene, a sogni di tipo comune, che non sono troppo distanti dalla realtà e che potrebbero addirittura essere spacciati per fatti realmente accaduti; bensì a quel genere di sogni che fanno sorridere chi li racconta e scuotere il capo a chi li sente, razionalmente impossibili come sono. Forse può succedere: oppure sono veramente pazzo, e devo essere grato ai miei carcerieri, che mi impediscono di diffondere la mia follia.

Viste le premesse, mi sembra inutile specificare che potete leggere le pagine seguenti sia come un resoconto scientifico scritto con la massima serietà possibile, che come le deliranti memorie di uno sbandato, che ritiene più opportuno inventarsi mondi inesistenti che affrontare il suo, fin troppo tangibile e crudele. Esiste anche una terza possibilità: quella di smettere immediatamente di leggere questi fogli, certamente non degni della vostra attenzione. A voi la scelta.

 

Mi ero trattenuto alla scrivania fino a tardi, quella sera, a pensare alla relatività ristretta: mi ero divertito ad immaginarmi in viaggio su astronavi veloci quanto la luce, in modo da poter toccare con mano gli effetti della dilatazione temporale, che potevo solo immaginare.

E con quel pensiero in testa ero andato a letto, piuttosto stanco, con il proposito di fare una buona dormita; tuttavia il mio sonno era stato ben presto turbato da incubi, nei quali mi vedevo tornare a casa dopo un lungo viaggio intorno alla Terra e trovavo molti dei miei cari ormai invecchiati, alcuni addirittura morti da tempo: e la spiacevole sensazione che ne derivava mi era rimasta addosso ancora al mattino.

Dopo colazione, decisi di uscire un poco, per distrarmi: ero convinto (o forse cercavo di convincermi) di aver lavorato troppo, nell’ultimo periodo, e che quella sensazione era dovuta solo alle troppe ore di sonno arretrate.

Non vi feci caso, subito: vedere gente che corre avanti e indietro per le strade del centro non è una cosa poi così anomala, in fondo. Ma sentivo che c’era qualcosa di strano, di insolito. Un particolare che non riuscivo a mettere a fuoco.

Trovai un bar, e mi sedetti in uno dei tavolini esterni, ché era una stupenda giornata estiva e volevo godermi al massimo quei caldi raggi di sole che per troppo tempo avevo evitato, chiuso nel mio studio.

Stavo aspettando che arrivasse il cameriere, quando mi si avvicinò un signore distinto, che cominciò a guardarmi con aria interrogativa, come se fosse stupito dal mio atteggiamento; e mentre mi osservava continuava a muoversi con una specie di corsetta, un po’ avanti e un po’ indietro, ma senza mai fermarsi.

Sulle prime pensai ad uno scherzo diretto a un altro avventore del bar, seduto dietro di me: ma mi girai, e non vidi nessun altro nei tavolini. Quell’uomo continuava a fissarmi: è da dire che il lungo periodo di solitudine non aveva certo addolcito il mio carattere, e infatti mi irritai presto, e gli dissi sgarbatamente: «Che cosa c’è da guardare?».

«Se vuole sprecare così la sua vita faccia pure, non sono affari che mi riguardano. D’altra parte, il suicidio è considerato un reato, e se non cercassi di dissuaderla dal suo intento potrei essere accusato di omissione di soccorso; e io non voglio avere problemi con la giustizia, chiaro? Quindi si alzi subito e riprenda a correre, da bravo!».

Mentre parlava, non aveva smesso per un solo istante di andare avanti e indietro in corsetta, come se avesse paura di fermarsi.

Pensai che fosse solo un povero pazzo, e ostentai indifferenza. Ma l’uomo insistette: «Forza, si alzi e ricominci a correre! Non mi costringa a chiamare un agente!».

A quel punto ero davvero infastidito, e desideravo fortemente che mi lasciasse in pace. Ancora più sgarbatamente di prima, gli dissi: «Ma cosa sta dicendo? Una persona per bene non può più stare seduta al tavolino di un bar in pace? La smetta di importunarmi, la prego!».

A quel punto l’uomo mi guardò con compassione, si voltò e se ne andò, sempre correndo. Vedendolo allontanare mi rilassai immediatamente, ma non avevo ancora fatto in tempo a chiedermi come mai il cameriere tardasse così tanto ad arrivare, quando lo vidi tornare con un agente di polizia al seguito.

L’agente tentò di farmi alzare con le buone, ma non ero certo dell’umore giusto per ascoltarlo. Che stavo facendo di male? Mi ero semplicemente seduto al tavolino di un bar.

A quel punto, vista la mia fermezza, l’agente mi fece alzare con la forza e cominciò a intimarmi di correre, rendendosi più persuasivo con delle pesanti manganellate. Quando vide che avevo preso a correre – controvoglia, ovviamente: ma che potevo fare, a quel punto? – si rilassò, e smise di urlare.

Si era radunata una discreta folla intorno a noi, e tutti mi guardavano con espressione sconvolta, continuando a correre avanti e indietro. Tutti correvano: il poliziotto, l’uomo che si era fermato a fissarmi, i bambini, le mamme, le commesse nei negozi, persino un anziano signore si dava da fare per tenere un ritmo sostenuto, aiutandosi con un bastone da passeggio.

Dovevano essere tutti impazziti, non c’era altra soluzione; o forse ero io quello pazzo. Probabilmente stavo solo sognando, e questo incubo non era che l’effetto della stanchezza: mi sarebbe bastato svegliarmi per tornare nella vita reale, un mondo forse triste ma nel quale non si era certo costretti a correre! Mi pizzicai il braccio e provai dolore.

A quel punto, mi capirete, ero sconvolto: mi trovavo, senza sapere come ci fossi arrivato, in un mondo nel quale tutti si muovevano freneticamente, senza sosta, e il sedersi era considerato alla stregua di un suicidio.

Non riuscivo ancora ad avere un quadro completo della situazione, ma avevo capito che c’era qualcosa di strano. Decisi di stare a vedere cosa succedeva, e di comportarmi come mi veniva suggerito.

Continuai quindi a muovermi in corsetta anche quando mi scusai con l’agente, e pure quando l’uomo di prima si propose di offrirmi un caffè. Lo seguii dentro un bar: mi ritrovai in una stanza praticamente priva di arredo, in fondo alla quale si trovava un lungo bancone simile a quelli dei ristoranti self–service, con molta gente che passava davanti correndo.

Io stesso mi stavo dirigendo, al seguito dell’uomo, verso il bancone a passo spedito. Lo costeggiammo per tutta la sua lunghezza, e proseguimmo verso l’uscita: appena fuori, l’uomo mi porse un bicchiere di carta con cannuccia, che conteneva caffè.

Non capivo come avesse fatto a prenderlo e a pagare: non l’avevo visto fermarsi un solo istante! Sulle prime pensai che avesse in qualche modo taccheggiato il caffè, ma poi scartai l’ipotesi, considerando che la fila davanti a noi scorreva con la stessa velocità: se non aveva pagato lui, significava che non lo avevano fatto nemmeno gli altri.

L’uomo, dopo una lunga sorsata di caffè, sempre correndo al mio fianco, cominciò a dire: «Allora, come va adesso? Dopo un buon caffè sembra tutto migliore, non è vero? Valeva la pena di lasciarsi morire in quel modo?».

Pensai che era l’occasione giusta per cercare di ottenere informazioni su quel mondo assurdo e frenetico: «In realtà mi ero solo seduto un attimo; non pensavo certo di creare un simile scompiglio. Ma ditemi, come mai il poliziotto ha insistito tanto per farmi alzare? E perché anche voi continuate a correre?».

Sul volto dell’uomo si dipinse un espressione di profondo stupore; poi si increspò in un sorrisino, che divenne ben presto una fragorosa risata.

«Voi vi fate gioco della mia intelligenza, amico! Queste sono cose che vengono insegnate ai fanciulli, non appena sono in grado di comprenderle! Non potete non conoscere queste nozioni di base: se ne foste all’oscuro, di certo non avreste potuto raggiungere la vostra età… A meno che non siate stato colpito da una qualche forma di amnesia», disse, e si fece pensieroso.

In effetti era la spiegazione più plausibile, e devo ammettere che io stesso, per un istante, mi domandai se non avesse ragione. Ma poi decisi che era un’occasione da non perdere, e accettai di interpretare il ruolo dello smemorato allo scopo di capire qualcosa in più su quello strano mondo nel quale ero capitato.

Così additai il sole, che splendeva caldo e insensibile sopra le nostre teste, e chiesi, con l’aria più innocente di cui fui capace: «E quella luce, là in cima, che cos’è?».

I sospetti dell’uomo furono confermati da quella mia domanda, ed egli, con tono grave, cominciò a parlare.

«Misero tu, che hai rischiato la vita per una perdita di memoria! Ma hai avuto la fortuna che io passassi di lì in quel momento, cosicché ti ho potuto salvare; e adesso ti riporterò alla mente le nozioni che ti parevano ovvie fino a poco tempo fa, e che ora hai perse.

«Devi sapere, innanzitutto, che se il correre continuamente è necessario alla vita dell’uomo – giacché tu, come me, sei un uomo – il motivo è semplice: stando fermo, il tempo scorre più in fretta, e i minuti paiono secondi, e i giorni volano via troppo veloci.»

A questa affermazione, potete immaginarlo, non riuscii a contenere un gridolino di stupore: come era possibile ciò?

La relatività ristretta, che stavo studiando la sera precedente, parlava di fenomeni simili, ma spiegava anche che essi potevano avvenire solo se il corpo si muoveva di velocità abbastanza vicina a quella della luce che, è risaputo, vale 300000 km/s!

Se nemmeno a bordo del più veloce fra gli areoplani sarei mai riuscito a raggiungere una velocità sufficentemente alta da consentirmi di rilevare la dilatazione dei tempi, come era possibile che, semplicemente correndo, tale fenomeno fosse così evidente? Quell’uomo mentiva, non vi era dubbio!

«Ciò che dici è certo molto suggestivo, ma ammetterai che è anche difficile da credere. Puoi forse portarmi una prova che suffraghi la tua ipotesi?» dissi sicuro che, a quel punto, il folle che mi stava a fianco avrebbe ammesso la sua menzogna.

«Vedi questa farfalla?», disse, indicandomi uno stupendo esemplare. «La sua vita è molto breve, e per questo cerca di sfruttare tutto il tempo che ha a disposizione, volando senza sosta. Ora, se io la tengo ferma», dicendo questo la prese nella mano, «il suo tempo comincierà a scorrere molto più velocemente, consumandola in breve tempo.»

Mentre parlava vedevo la farfalla, bloccata contro il palmo da un dito, che si dibatteva cercando di fuggire; e dopo poco tempo la vidi immobile, secca ed inanimata.

La prova era certo convincente, ma non bastava: come potevo infatti sapere che la farfalla non fosse sul punto di morire già prima che l’uomo l’afferrasse? Esprimendo la mia perplessità, chiesi all’uomo di darmi un’altra prova.

«Guardati intorno: non c’è niente, al mondo, che non si muova. Non ti sembra forse una prova sufficiente? Credi davvero che tutto questo avvenga senza motivo?»

E anche se, come scienziato, non avevo motivo di credere ad una pseudo–prova simile, sentii che l’uomo non stava mentendo; e gli credetti.

«Maestro», gli dissi, «ma come è possibile tutto ciò? Non è forse vero, in base a quanto afferma la relatività ristretta, che la dilatazione dei tempi è apprezzabile solo a velocità prossime a quella della luce? Come possono verificarsi dei fenomeni simili a velocità così distanti da quella della luce?»

Il mio sgomento si era trasformato in sete di sapere; lo smarrimento aveva lasciato posto alla curiosità scientifica. Non mi importava più – e non ricordavo quasi – di essere finito in un posto tanto assurdo e lontano dalla mia esperienza: l’unica cosa che desiderassi era conoscere le leggi che regolavano quel luogo.

«Lontane dalla velocità della luce? Come sarebbe a dire, lontane? E, di grazia», il mio Maestro si era fatto quasi beffardo nel pronunciare queste parole, «quanto sarebbe veloce, questa benedetta luce?»

Risposi prontamente il valore che ero abituato a conoscere, quel numero che mi era sempre parso così terribilmente grande, e il mio Maestro per poco non mi rise in faccia.

«Ciò che dici è impossibile: la velocità della luce è 30 km/h, lo sanno anche gli studenti delle medie, ed è una velocità che non si può in alcun modo superare; come credi sia possibile, o anche solo immaginabile, che la luce, isotropa per definizione, abbia due velocità distinte, così diverse fra loro?

«Questo implicherebbe la non isotropia della luce: non sarebbe forse un passo indietro spaventoso, un ritorno alla relatività di Galileo che abbiamo relegato a "caso particolare" da Einstein in poi?»

«Questo è forse vero nel vostro strano mondo, ma nel posto in cui vivo, e dal quale sono – non so come – arrivato qui, la velocità della luce è proprio quel valore che ti ho appena detto, e che ti sembra assurdo quanto appare a me quello che tu mi hai rivelato essere il valore della velocità della luce in questo luogo.

Io ho creduto alle tue parole, anche se ciò che mi hai detto entra in contrasto con la mia esperienza e le mie conoscenze di fisica; perciò ti chiedo, o mio saggio Maestro, di fare lo stesso con me, e di prendere per vere queste affermazioni, per quanto assurde ti possano sembrare.»

Il mio Maestro era rosso in viso dalla rabbia: ciò che dicevo era infatti così lontano dalla sua esperienza che non riusciva a credere ad una sola delle parole che uscivano dalla mia bocca – va detto, in perfetta buona fede – e si sentiva in qualche modo offeso dalle mie affermazioni.

«Tu, tu, misero essere! Tu vaneggi! Mi parli di mondi diversi da questo, nei quali la velocità della luce è assurdamente alta! Come puoi pretendere che ti creda? Sarebbe come credere al primo folle che predica l’assenza di gravità sulla Terra!

«Mi parli di mondi nei quali la gente può sedersi tranquillamente, senza rischiare la propria vita, mondi dove tutto procede con calma e ci si può permettere di essere indecisi! Mondi assurdi, che contravvengono alle leggi fondamentali della fisica!

«E hai la pretesa che io ti creda? Senza uno straccio di prova? Pazzo! Vattene subito, sparisci dalla mia vista!» gridò il mio Maestro, con un’espressione talmente furiosa che mi mancò la forza di contraddirlo; e così mi incamminai – anche se il termine, come potrete immaginare, in questo contesto è assolutamente improprio – verso casa, deciso a trovare un modo di tornare al mio mondo, che era sì strano, ma almeno conosciuto.

Arrivai a casa, ed improvvisamente uno strano torpore mi avvolse: mi diressi verso il letto, e caddi in un sonno profondo. Questa volta non fui disturbato da nessun incubo; il mio sonno fu incredibilmente sereno, come non mi accadeva da tempo.

Al mio risveglio guardai fuori dalla finestra e, con immenso stupore, mi resi conto che nessuno stava correndo: ero tornato al mio mondo! Corsi in strada, al colmo della gioia; e cominciai a raccontare a tutti la mia incredibile avventura.

 

Non avevo dubbi che avrebbero fatto fatica a credere alle mie parole; ma non immaginavo certo che mi avrebbero preso per pazzo e chiuso in manicomio! Ed ora sono qui, che scrivo le mie memorie, e quasi dubito anch’io che tutto questo mi sia successo veramente; ma lascio a voi il giudizio.